E se fosse proprio una realtà mediterranea ad ispirarci verso un nuovo paradigma della mobilità?

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di Francesco Bolle Cane

Se è vero che dobbiamo pensare prima di tutto all’emergenza sanitaria e a come può ripartire il nostro Paese quando ci saremo lasciati l’emergenza Covid-19 alle spalle, è anche vero che non si può smettere di immaginare e progettare la società del futuro. In particolare, occorre pensare come rendere più rapida la transizione ecologica nella quale sia i cittadini che i politici ricoprono un ruolo fondamentale. I primi ripensando all’impatto ecologico che scaturisce dai gesti quotidiani e tramite la partecipazione attiva all’associazionismo; i secondi prendendo decisioni chiave tese a rinforzare i settori impegnati in prima linea nella green economy. Presto arriveranno i fondi del programma europeo Next Generation Europe e gli enti locali avranno un ruolo chiave perché molti progetti finanziati con le risorse europee saranno affidati a loro. Il cambiamento delle città sarà senza precedenti. Gli amministratori dovranno avere una visione chiara, cercando di investire in progetti che riescano a trasformare radicalmente le città attraverso spese sostenibili e calibrate. Per attuare questo grande piano sarà utile consultare esperti, ascoltare i cittadini, ma sarà anche saggio analizzare quanto fatto dalle città che sono state più lungimiranti fino ad ora. Grazie agli spazi verdi e alla mobilità sostenibile, le città del domani saranno gradualmente più a misura d’uomo e d’ambiente; assisteremo alla rivoluzione delle ‘smart cities’. Smart city significa città intelligente e può essere considerata tale quando viene fatto un uso innovativo e consapevole delle risorse economiche, tecnologiche e ambientali, sviluppando nuove opportunità nell’uso degli spazi, nella mobilità e nelle relazioni tra persone. Innovare gli spazi pubblici significa anche favorire l’uso di alcuni mezzi a impatto zero. Ad esempio, la bicicletta non è solo uno dei mezzi di trasporto più famosi nella storia, è diventato un vero e proprio strumento di consapevolezza. Costruire infrastrutture per implementare la mobilità in bicicletta è più economico rispetto al potenziamento dei servizi di trasporti pubblici e di norma consente un’azione rapida in termini di cambiamento delle abitudini cittadine. Ed è per questo che tali infrastrutture dovrebbero essere una priorità per qualsiasi amministrazione comunale. Investire in esse può però non essere sufficiente; è necessario anche fare campagne di sensibilizzazione ed introdurre nuove tecnologie per rendere più sicura e piacevole l’esperienza dei ciclisti.

Il modello da seguire è storicamente rappresentato dalle città del Nord Europa, le quali tuttavia non sono sempre facili da emulare: la maggior parte delle città dell’Europa meridionale ha infatti delle caratteristiche diverse ed è ancora fortemente legata al sistema automobilistico. Ma esiste un modello mediterraneo che si potrebbe seguire; si tratta di Valencia, la terza città più popolata della Spagna. La professoressa dell'Università Paris-Est Marne-la-Vallée (UPEM) e della Scuola des Ponts (ENPC), Nacima Baron, in un suo studio riflette sulla trasformazione della città spagnola che da epicentro dello spreco statale in soli dieci anni è diventata simbolo della rinascita democratica e si è convertita nella capitale mediterranea della bicicletta. Questa trasformazione è strettamente legata al contesto politico. Durante la crisi economica del 2008-2014, il bipartitismo spagnolo è stato duramente colpito e molte città sono state conquistate da nuovi partiti politici, parzialmente originati nella società civile e legati al movimento de “Los Indignados”. Anche Valencia si è identificata con tale tendenza; l’attuale sindaco Juan Ribó appartiene a “Compromís”, un partito di sinistra che esiste solo nella Comunità Valenciana. Il comune, guidato da Ribò dal 2015, ha compiuto un vero e proprio sforzo nel settore delle infrastrutture e dello spazio pubblico e il risultato è sotto gli occhi di tutti: l'uso della bicicletta è aumentato notevolmente e continua a crescere, segnando un trend rialzista che sembra inarrestabile. Questo a dimostrazione di come il comune sia stato proattivo nel suo approccio politico, cercando di avviare un cambiamento nel sistema di mobilità nonostante le forti opposizioni che era immaginabile incontrare durante il percorso.

Oggi a Valencia tutti i quartieri sono connessi da una rete di piste ciclabili (circa 160 km totali) e sono serviti da Valenbisi, un servizio municipale di biciclette che conta 275 stazioni e 2750 biciclette al servizio di cittadini e turisti. Un servizio che consente infinite sessioni di viaggio da 30 minuti con soli 29 euro annuali. Grazie anche a questo servizio i cittadini hanno potuto sperimentare gli spostamenti in bicicletta, per poi magari decidere di cambiare in maniera definitiva il proprio mezzo di trasporto. Il responsabile principale di questa rivoluzione è Giuseppe Grezzi, l’assessore alla mobilità del capoluogo valenciano. Secondo l’assessore sono diversi gli elementi che possono spiegare questo successo. In primo luogo, è stato fondamentale pianificare con intelligenza la struttura delle piste ciclabili, in particolare è risultato strategico costruire il cosiddetto “anillo ciclista”: un percorso circolare per le bici che circonda il centro storico e che si collega a numerose piste ciclabili secondarie e con il giardino del Turia, il più grande parco della città nonché asse verticale del centro abitato. In secondo luogo, è stato fondamentale ridisegnare le piste ciclabili esistenti, allargandole, rendendole più sicure tramite la separazione dalle corsie delle auto e creando una segnaletica adeguata; oggi in quasi tutta la città sono presenti semafori appositi e piste ciclabili bidirezionali. Il risultato è un’infrastruttura utilizzata in maniera massiva non solo dai giovani ciclisti, ma da persone di ogni età. Tale attenzione ha inoltre incentivato l’uso dei monopattini, un altro importante mezzo di trasporto che sta aiutando a migliorare la qualità dell’aria nelle zone urbane. In ultimo luogo, accanto alla rivoluzione urbanistica sono state implementate delle azioni complementari per creare una vera e propria cultura della bici. È stato fatto un festival ad hoc, sono stati creati nuovi parcheggi per le bici e si sono riqualificati molti spazi pubblici contestualmente alla creazione delle piste ciclabili. Grazie ai principi dell’urbanismo tattico, sono stati ridisegnati interi spazi precedentemente dedicati alle auto. Oggi al posto di parcheggi e strade possiamo trovare punti verdi fioriti e tavolini di bar e ristoranti. Ed è così che si è registrata una notevole diminuzione dell’inquinamento, del rumore e una rivitalizzazione delle attività economiche interessate dai cambiamenti. La ricetta di Valencia è semplice, ma ambiziosa: ridurre il parco auto circolante, disincentivandone l’uso e offrendo ai cittadini nuovi spazi pubblici di qualità per camminare, infrastrutture leggere per la ciclabilità e un trasporto pubblico efficiente per gli spostamenti ad ampio raggio. Questa rivoluzione, ancora in corso, non è stata esente da critiche; come spiega l’assessore Grezzi si tratta di un processo normale perché inizialmente si palesa la resistenza al cambiamento, successivamente arriva la critica lacerante e infine il risultato compreso e difeso (una conquista difficile da modificare) che porta al cambio di mentalità e di abitudini. La ridefinizione delle norme di mobilità può essere utilizzata non solo per introdurre un nuovo modello di spazio pubblico, ma anche per incarnare una nuova forma di coscienza e di azione.

L’esempio di Valencia è utile per comprendere che troppo spesso siamo portati a pensare che una città non sia pronta per una rivoluzione di questo genere; troppo di frequente accade che gli amministratori locali aspettino un cambio di mentalità nelle persone prima di credere nei progetti e concentrarsi sulla qualità del cambiamento. La mentalità delle persone ha già intrapreso un percorso volto al cambiamento e Valencia dimostra come in una sola legislatura si può raggiungere il paradigma di una mobilità sostenibile. Bastano pochi anni e investimenti modesti per accelerare la transizione ecologica, spegnendo lo scetticismo di alcuni e migliorando la quotidianità di molti. Infine, se i cittadini vengono resi partecipi e coscienti del cambiamento, saranno i primi a legittimare questo tipo di interventi. Spetta ora alla politica prendere questo esempio e avere il coraggio di cambiare le città italiane, in modo che la rivoluzione ecologica diventi realtà.

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