Se una rielezione costituisce nuova prassi
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di Paky Tiani
"All’ultimo mese di mandato il Presidente Mattarella gode del picco della propria popolarità: 77 per cento, frutto di una progressione dell’indice di fiducia espresso dagli intervistati. In poco meno di 4 anni il gradimento per Mattarella è salito di 30 punti”. I dati sono quelli dell’Osservatorio Politico dell’istituto Ixè diffusi a ridosso di Natale. Fra i cittadini ad aver assoluta fiducia in lui ci siamo anche noi. La migliore alternativa in termini di popolarità, caratura e statura morale. Figura che nei 7 anni del primo mandato è stata capace di interpretare i cosiddetti poteri a “fisarmonica” del Colle, senza alcuna sbavatura, senza mai forzare o accentrare su di sé l’attenzione dei cittadini oltre il dovuto.
Proprio perché affezionati alla figura del Presidente Mattarella, in questi mesi abbiamo tribolato in attesa di sapere chi l’avrebbe seguito sullo scranno del Capo dello Stato. Se poco più di una settimana fa ci fossimo chiusi in casa, disconnettendoci dal mondo esterno per qualche giorno, probabilmente, uscendo sabato sera, ci saremmo scoperti sorpresi, ricordando quante volte nell’ultimo anno il Capo dello Stato aveva ribadito la sua indisponibilità ad un rinnovo del settennato. Eppure, prescindendo dalle valutazioni politiche tout court, la nostra classe dirigente ha ritrovato in Mattarella un punto di caduta, che lasciava tutti d’accordo (o quasi).
Chiunque abbia nozioni basiche di costituzionale lo sa, le prassi e le consuetudini sono fonti del diritto poiché riconosciute intrinsecamente dai cittadini sul principio del “s’è sempre fatto così”. Ebbene, esiste un paese occidentale, ove la sacralità del tempo e il precetto dello stare decisis costituiscono l’architrave di un impianto istituzionale privo di una costituzione de facto. L’Inghilterra non a caso è caratterizzata dal suo sistema di Common Law, che determina la sua esistenza sulla base dei precedenti a cui ci si attiene ogni qualvolta un caso si ripresenta. Può capitare, però, che una fattispecie non attenga al precedente e in quel caso il giudice, se si riscontra una differenza rilevante, può procedere con il distinguishing, ovvero con la scelta di andare in controtendenza con il precedente e di decidere in senso differente. Ma cosa accade quando un caso simile si propone nuovamente? Il giudice può scoprirsi ad un bivio effettivo, decidendo per l’abolizione del precedente attraverso l’overrulling ed istituendone uno nuovo.
Vi starete chiedendo “cosa c’entra tutto ciò con l’elezione di Mattarella?” Facciamo un passo indietro, nel 2013, un parlamento in impasse decide di votare la rielezione di Giorgio Napolitano. È la prima volta che succede una cosa del genere e la crisi che il Paese sta attraversando porta il Parlamento in seduta comune ad una scelta straordinaria (un distinguishing, in qualche modo), che garantisce una transizione terminata nel 2015 con l’elezione di Sergio Mattarella. Passano altri 7 anni e, guarda caso, la fattispecie si ripresenta in un’altra fase drammatica, con un parlamento frastagliato e un governo di unità nazionale. Un bivio si pone ai parlamentari e ai grandi elettori che decidono di rieleggere il Presidente uscente, una scelta a tratti comoda, ma che dipinge delle conseguenze diverse in termini di durata di mandato rispetto all’accordo preso con Napolitano. Mattarella, resterà potenzialmente al Quirinale per un totale di 14 anni, il periodo di un regno nell’Europa ‘800esca, attraversando governi, partiti, elezioni e maggioranze.
Il ruolo del Capo dello Stato è quello meno vincolato dalla Costituzione italiana, esso è senza dubbio il più consuetudinario. Per questo ogni volta che si gioca con quello scranno, il rischio di un distinguishing può divenire overulling.
L’elezione di Mattarella ci riempie di gioia, ma non possiamo non soffermarci sul futuro dell’istituzione del Colle. La sovranità del parlamento ha una assoluta sacralità, ma forse, questa volta, ci impone di ragionare su una riforma, già auspicata in tempi non sospetti, per vincolare a 7 anni il massimo di un mandato presidenziale.
La speranza, quindi, è che il Presidente resti in carica altri 7 anni, ma che sia l’ultimo a permettere alla politica di non scegliere.