Il salario minimo ci serve

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di Mario Visconti

Com’è noto in Italia è stata presentata una proposta di legge sul salario minimo da parte dei principali partiti di opposizione (Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Azione, Verdi e Sinistra), tale proposta punta a fissare la soglia minima di retribuzione oraria a 9 euro lordi l’ora. In particolare, per salario minimo si intende la retribuzione minima che deve essere corrisposta dai datori di lavoro ai lavoratori subordinati. La necessità di introdurre tale mezzo è legata al fatto che nel nostro Paese ci sono ben 5 milioni di lavoratori che svolgono le proprie mansioni potendo contare su una paga molto più bassa rispetto al minimo previsto nella proposta di legge. Basti pensare al costo della vita rapportato a questi guadagni, ad esempio, in città come Milano dove ci sono lavoratori che guadagnano anche 700\800 euro al mese dovendo spendere, mediamente, 600 euro per un posto letto in una stanza singola.

È la stessa Costituzione che all’articolo 36 enuncia i due principi fondamentali in tema di retribuzione: il principio di sufficienza, in base al quale la retribuzione deve garantire al lavoratore e alla sua famiglia una vita di un tenore socialmente adeguato al contesto storico e ambientale, e il principio di proporzionalità per cui deve esserci una correlazione (e quindi una proporzione) tra le mansioni svolte dal lavoratore (qualità del lavoro) e il tempo di svolgimento (quantità del lavoro). Quando si parla di salario minimo viene poi spesso citata la Direttiva europea 2047\2022 che, a detta di molti, imporrebbe al legislatore italiano di introdurre il salario minimo legale. È però una conclusione del tutto infondata dal momento che l’Unione Europea non dispone di una competenza diretta sul tema; pertanto, essa può intervenire solo in via indiretta. D’altronde, pur volendo, la direttiva non potrebbe comunque determinare un minimo retributivo da garantire in tutti i Paesi membri visto che i vari Stati dell’Unione hanno poteri d’acquisto notevolmente diversi. Questa misura si limita a distinguere tra i Paesi che affidano la determinazione di una retribuzione minima alla legge (garantendone in tal caso l’adeguatezza) e quelli che la affidano alla contrattazione collettiva (proponendosi di supportarla). Alla luce di ciò non sussiste alcun obbligo per il legislatore italiano per due motivi: non è presente il salario minimo imposto per legge; e la copertura della contrattazione collettiva in Italia è pari all’88.9% dei lavoratori, mentre le misure di supporto, secondo la Direttiva, andrebbero adottate solo se la copertura fosse inferiore al 70%.

Fatto luce su parte della legislazione esistente, veniamo al contenuto del DDL presentato dalle opposizioni. In questo caso, la norma cardine è sicuramente l’articolo 2, esso infatti stabilisce come “retribuzione complessiva adeguata e sufficiente” il trattamento complessivo che viene fissato nel CCNL stipulato dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. In ogni caso, il CCNL non può prevedere un trattamento economico orario inferiore ai 9 euro lordi. Chi si dice contrario a questo DDL spesso si giustifica dicendo che sarebbe più appropriato rafforzare la contrattazione collettiva. A quanto pare non hanno letto la proposta. Infatti, il DDL stabilisce che nel caso in cui siano applicabili più contratti collettivi, il minimo retributivo non può essere inferiore a quello previsto dal CCNL stipulato dalle associazioni maggiormente rappresentative. Nel caso in cui, invece, mancasse addirittura un CCNL la retribuzione non potrebbe comunque essere inferiore a quella fissata dal CCNL che disciplina mansioni simili nello stesso settore. Riferirsi al rafforzamento della contrattazione collettiva in maniera astratta è poi privo di ogni significato, infatti, il problema cruciale del diritto sindacale sta proprio nell’impossibilità di estendere erga omnes l’efficacia dei contratti collettivi visto che la strada prevista dalla Costituzione non è mai stata percorsa. L’articolo 39 prevede infatti che i sindacati registrati possono eleggere dei rappresentanti unitari con la facoltà di concludere contratti collettivi da applicare a tutti i lavoratori (iscritti o meno al sindacato) operanti in quel determinato settore. Tuttavia, questo articolo è rimasto inattuato per motivi storici e politici. Dopo la Seconda guerra mondiale i sindacati hanno infatti continuato ad operare come associazioni non riconosciute, probabilmente per una mancanza di fiducia nelle neonate istituzioni democratiche, rendendo di fatto impossibile la stipula di contratti collettivi validi erga omnes.

Ecco perché sostenere una posizione di semplice rafforzamento della contrattazione collettiva, non accompagnata da altre misure, denota scarsa conoscenza non solo dell’ordinamento sindacale ma anche della storia italiana del sistema di relazioni industriali. Ciò assume maggior valore alla luce di un altro grave problema del diritto sindacale: i contratti pirata. Si tratta di contratti stipulati da associazioni sindacali scarsamente rappresentative (che spesso contano un numero irrisorio di iscritti) che portano ad accordi con trattamenti peggiorativi rispetto ai contratti stipulati dalle grandi associazioni sindacali (CGIL, CISL e UIL), dando vita al fenomeno del dumping sociale. In questo modo si crea infatti una concorrenza sleale tra i datori di lavoro che (con i contatti pirata) risparmiano sul costo del lavoro diminuendo tutele e retribuzione e i datori che, invece, sottoscrivono contratti con CGIL, CISL e UIL venendo di fatto danneggiati. Proprio per questo, è stato lo stesso presidente di Confindustria a dichiarare pubblicamente che l’introduzione di un salario minimo legale gioverebbe anche agli imprenditori.

In conclusione, non si può non citare la recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 27713\2023) che permette al giudice di discostarsi dal trattamento retributivo previsto dal CCNL qualora non lo ritenga conforme all’articolo 36 della Costituzione. Inoltre, il giudice può fissare un trattamento compatibile, in questo modo viene di fatto stabilito un salario minimo costituzionale da determinare caso per caso. È quindi altamente auspicabile che questo DDL entri in vigore anche perché andrebbe a risolvere molte delle controversie citate in precedenza e, soprattutto, ne eviterebbe di future. Ancora più importante sarebbe poi aggiungere una legge sulla rappresentanza sindacale, dando vita ad un vero e proprio processo di riforme completo.