Il Servizio sanitario nazionale e la sua evoluzione, dal 1978 ad oggi

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a cura del tavolo Sanità, diritti e welfare di comunità

Il Servizio sanitario nazionale (SSN) come lo conosciamo oggi pone le sue basi sulla Legge istitutiva n. 833 del 1978. Da quel momento in poi diverse sono state le riforme che ne hanno cambiato in maniera significativa i connotati.

Per capire bene da dove nasce il SSN dobbiamo analizzare qual è la situazione italiana prima del 1978. Alla nascita della Repubblica Italiana viene ereditato quello che era il modello precedentemente in uso, un sistema frammentato ed eterogeneo basato sulle Casse di mutua assistenza. In questo sistema non veniva messa al centro la persona in quanto tale, ma il lavoratore e la sua famiglia: ciascuna professione aveva la propria “Cassa” ed ogni lavoratore era obbligato a versare una quota del proprio stipendio in questo fondo comune, in modo tale da tutelare sé e i propri familiari [Modello Bismark]. Se da un lato questo modello permetteva alle persone di godere di una assistenza sanitaria prima sconosciuta, dall’altro però era caratterizzato da una grande disparità di servizi e di tutele. Infatti le classi sociali più abbienti, con un reddito più alto, potevano accedere ad un’assistenza migliore, versando una quota maggiore di capitale, a differenza di contadini e artigiani, che pur necessitando di maggiori cure, a causa di più bassi introiti, non erano in grado di versare tali somme. Durante l’epoca fascista questo sistema verrà nazionalizzato e, nonostante i problemi descritti in precedenza, verrà mantenuto intatto fino al 1978.

In questa data nasce, grazie alla spinta dell’allora Ministra della Sanità Tina Anselmi, il SSN. Questo si basa su tre principi fondamentali: la destinazione universale delle cure, la partecipazione finanziaria da parte di tutte e tutti i cittadini, attraverso la fiscalità generale, ed infine l’equità assistenziale. Con questa riforma si cerca di uniformare la grande varietà di servizi, prestazioni ed erogatori fino a quel momento esistenti, garantendo così a tutte le persone il diritto alla cura e all’assistenza, senza alcuna discriminazione di reddito e di classe sociale. Uno Stato che tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività così come sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione. Per vedere realizzata questa uniformità di trattamento e per definire le linee generali di indirizzo e le modalità di svolgimento delle attività istituzionali del SSN, il Parlamento è dotato di uno strumento molto importante in tal senso: il piano sanitario nazionale (PSN)¹.

L’idea di rinnovamento proposto dalla riforma del 1978 e il raggiungimento dei suoi obiettivi² hanno trovato e trovano tutt’oggi diverse difficoltà di realizzazione. Tra i primi problemi affrontati vi è proprio la stesura del PSN: basti pensare che solo per il triennio 1994-96, dopo oltre 15 anni dall’entrata in vigore della riforma, venne redatto il primo PSN, un ritardo che contribuì ad accentuare quelle disparità di servizi presenti nel Paese. Inoltre, durante gli anni 80’ e 90’, l’affermarsi di un modello economico di libero mercato e di libera concorrenza, la contemporanea crisi del Welfare State e l’incapacità di sostenere una così grande spesa pubblica, a fronte di una decrescita economica iniziata alla fine degli anni 70’, investiranno in pieno anche il SSN. Sarà il 1992 l’anno in cui, l’allora Governo Amato, con il Ministro della Salute Francesco Di Lorenzo (Partito Liberale), approverà la prima legge di riordino del Servizio sanitario nazionale³. Le caratteristiche principali di questa riforma erano sostanzialmente: la trasformazione delle Unità Sanitarie Locali in aziende (ASL), l’apertura di quest’ultime alla libera concorrenza con le strutture private, la separazione delle strutture territoriali dagli ospedali e l’attribuzione alle Regioni di funzioni importanti in materia di programmazione sanitaria. Alcuni articoli prefiguravano addirittura la creazione di un sistema sanitario parallelo e alternativo al SSN, in mano alle assicurazioni e alle mutue volontarie. Questi furono fortunatamente abrogati successivamente dal Governo Ciampi⁴, che preservò così in parte i principi cardine del SSN⁵.

Gli anni successivi furono caratterizzati da un tentativo di riportare al centro della politica sanitaria italiana sia il tema della territorialità che della prevenzione. La Riforma Bindi⁶, oltre a rafforzare ancora di più l’autonomia delle Regioni (processo che si concluderà con la modifica del Titolo V della Costituzione⁷), affermava con forza il ruolo della Medicina Generale nella tutela della salute del territorio, l’importanza del coordinamento e dell'approccio multidisciplinare oltre che dell’assistenza domiciliare integrata. Questa ritrovata centralità del territorio, coerente con una visione di salute per troppo tempo abbandonata e lasciata da parte, venne riaffermata anche grazie all’impegno della Sen. Livia Turco, che nel 2007 tradusse in legge⁸ quell’idea di Casa della Salute che per prima fu di Giulio Maccacaro⁹. La Casa della Salute venne pensata come luogo costruito sulla base delle esigenze e dei bisogni delle persone a cui si rivolge, un luogo che deve tenere conto delle differenze territoriali e di salute della propria comunità, un luogo dove i professionisti, cittadini e associazioni del territorio lavorano insieme per il raggiungimento degli obiettivi. Ad oggi però solo 8 Regioni su 21 hanno istituito una Casa della Salute nei loro territori¹⁰ e ancora meno sono le strutture che adottano al loro interno quei principi di multidisciplinarietà e di ricerca dei bisogni del territorio descritti.

Con questo articolo abbiamo ripercorso le tappe principali della Storia del SSN, le sue trasformazioni e la sua evoluzione. Come è evidente la strada da percorrere per raggiungere una completa realizzazione dei principi costituzionali è ancora lunga e ricca di ostacoli. La pandemia che stiamo vivendo ha sicuramente messo ancor più in evidenza problemi e lacune su cui intervenire nei prossimi mesi ed anni, tra questi il delicato rapporto tra pubblico e privato e l’inattuazione, in gran parte del Paese, di politiche volte alla prevenzione e alla prossimità delle cure. Noi ci auguriamo che questi temi siano tra i primi punti dell’agenda del nuovo Governo.

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