Socialisti e indipendentisti: l’accordo in Spagna cambia l’Europa?

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di Pietro Mancini

Il 23 luglio scorso in Spagna si sono tenute le elezioni politiche per il rinnovo del Senato e del Congresso dei deputati. Convocate anticipatamente rispetto alla scadenza naturale della legislatura, le elezioni hanno registrato un'affluenza del 65% (di poco superiore a quella del 2019). Il primo partito, con il 33% dei voti, è stato il Partito Popolare guidato dall'ex governatore della Galizia Alberto Nunez Feijoò. Feijoò è segretario dall'aprile del 2022 quando è stato eletto, da unico candidato alle primarie, con il 98% dei voti. A destra del PP si trova VOX, un partito estremista e ultraconservatore che ha ottenuto il 12%, andando al di sotto dei sondaggi della vigilia. A guidarlo c'è Santiago Abascal, stretto alleato di Giorgia Meloni e di Fratelli d'Italia in virtù delle sue posizioni anti LGBTQ+, pro famiglia tradizionale e antimmigrazione. I due partiti della coalizione di destra hanno ottenuto 169 seggi al Congresso, sfiorando la maggioranza di 176 necessaria per formare un governo. Dall'altra parte c'è il Partito Socialista, guidato dal premier uscente Pedro Sanchez, che è riuscito nell'impresa di recuperare tutti i pronostici, raggiungendo il 31% dei voti ed eleggendo 122 deputati. Il suo principale alleato è Sumar, una coalizione di partiti di sinistra guidata dall'ex ministra del lavoro Yolanda Diaz, che è riuscita ad eleggere 31 deputati.

Le nuove camere si sono riunite per la prima volta il 17 agosto e hanno eletto i loro rispettivi Presidenti. Proprio l'elezione di Francisca Amengol, ex governatrice socialista delle Baleari, ha dimostrato la tendenza del Congresso nella direzione di una ipotesi di governo socialista. Nonostante ciò, il re Filippo VI, seguendo l'iter costituzionale, ha conferito a Feijoò l'incarico di formare un nuovo governo. Da quel momento l'incaricato ha avuto a disposizione un mese per presentarsi alle Camere per il voto di fiducia. Feijoò ha dunque iniziato a trattare con gli indipendentisti e nazionalisti catalani per sondare i margini di un'intesa e ottenere i numeri necessari per la maggioranza. Davanti a lui ha trovato però la ferma opposizione del partito catalano Junts guidato da Carles Pujdemont. Pujdemont si trova tuttora in esilio a Bruxelles dopo il tentativo di secessione, avvenuto tramite un referendum, del 2017. L'unico modo per ottenere il supporto dei 7 deputati indipendentisti sarebbe stato quello di concedere l'amnistia per i reati del 2017, strada impraticabile per la destra. Una volta fallite le trattative, il 26 e 27 settembre, entrambi i voti delle Camere hanno negato la fiducia a Feijoò. In questo modo la possibilità di formare un governo è passata a Sanchez, il quale ha deciso di provare a portare dalla sua parte gli indipendentisti. Dopo una trattativa durata quasi un mese, all'inizio di novembre il leader socialista è riuscito a chiudere il patto con Pudjemont. I reati imputati agli indipendentisti sarebbero stati amnistiati in cambio della fiducia ad un nuovo governo Sanchez.

L'accordo ha spaccato in due il Paese. Da una parte, coloro che sostengono i popolari e che considerano l'accordo incostituzionale, in quanto tende a frammentare ulteriormente il Paese. Dall'altra, i socialisti favorevoli al patto perché considerato un riavvicinamento utile a ricucire lo strappo avvenuto con la Catalogna nel 2017. Questo clima divisivo ha generato, la sera fra il 7 e l'8 novembre, i disordini e gli scontri con la polizia sotto la sede centrale del Partito Socialista a Madrid. Gli scontri, che hanno portato a sei arresti, sono stati alimentati da VOX e hanno visto la partecipazione di gruppi neofranchisti e persino di alcuni ultras dell'Atletico Madrid. All'indomani dei fatti Feijoò ha condannato le violenze, imputando però il clima creatosi ai suoi avversari e convocando per la domenica successiva una manifestazione pacifica contro l'accordo. Sanchez ha invece dichiarato che un partito come il suo, con 144 anni di storia, non può sicuramente farsi intimorire da certe dimostrazioni violente.

Mercoledì 15 novembre Sanchez ha quindi pronunciato il suo discorso programmatico nell'aula del Palazzo delle Corti, criticando aspramente gli avversari della destra per aver fomentato il clima di tensione delle ultime settimane. L'indomani il Parlamento si è riunito, votando per la fiducia al governo Sanchez alla prima votazione con 179 deputati favorevoli. Dopo un calvario, partito a luglio, soprattutto grazie ai voti dei deputati di Junts, i socialisti sono rimasti al governo scongiurando il fantasma di nuove elezioni a gennaio. Infatti, nel caso in cui entro il 27 novembre non fosse nato il terzo esecutivo guidato da Pedro Sanchez, gli spagnoli sarebbero tornati al voto. Una situazione analoga si era già verificata nel 2019, quando nello stesso anno, per due volte, prima ad aprile e poi a novembre, gli spagnoli erano stati chiamati alle urne viste le difficoltà dei socialisti a formare un governo.

A livello europeo la riconferma di un governo socialista in Spagna ricopre un'importanza particolare per due motivi, il primo, più immediato, è l'attuale Presidenza di turno del Consiglio Europeo che scadrà il 31 dicembre. La seconda, di più ampio respiro, riguarda il futuro Consiglio Europeo che a giugno, tenendo conto delle elezioni europee, dovrà indicare la nuova Commissione. Aspettando di capire quindi quale maggioranza si andrà a delineare in Europa, molto probabilmente ad essere protagonista sarà uno dei due schieramenti che sono stati coinvolti nelle elezioni spagnole, se non addirittura entrambi come è accaduto negli ultimi anni. E in particolare continua a farsi strada l'ipotesi di un'alleanza in Europa tra socialisti, popolari e liberali.